giovedì 26 giugno 2008

Storia di una bambina e del modo in cui scoprì il mare


Una bambina. Una bambina come tutte…beh, forse non del tutto uguale a tutte.
Sì, è vero…mangiava, si muoveva, parlava come tutti...ma lei era particolare. Poteva mangiare, ma solo cibi molli; poteva camminare, ma non poteva correre; poteva parlare, ma non urlare. I suoi genitori glielo proibivano. Non l’avrebbero mai perdonata se avesse osato disubbidire alle regole. E lei ci teneva moltissimo ai suoi genitori.
I suoi genitori erano molto apprensivi. “Sei troppo fragile” le dicevano.
E in fondo non avevano tutti i torti. Era una bambina di vetro Iulaodema. La pelle, gli occhi, i capelli, gli organi, tutti di vetro. Vetro.
Per questo i suoi genitori erano molto apprensivi. I cibi troppo duri avrebbero potuto scalfire il suo intestino; correndo avrebbe potuto cadere e rompersi; urlando…beh urlando c’era il rischio che una vibrazione troppo vigorosa delle sue corde vocali creasse delle crepe nel suo fragile corpo. Non la facevano nemmeno uscire di casa, se non in loro compagnia. “È troppo pericoloso per te! Il mondo è cattivo…soprattutto con chi è fragile!”
E così Iulaodema aveva vissuto sempre in casa. Al massimo usciva in giardino da sola, ma solo con le dovute protezioni. E non c’era nessun albero nel giardino. Troppo pericoloso per lei…avrebbe potuto arrampicarsi per cogliere il frutto più maturo. O semplicemente inciamparci e cadere. No. Niente alberi.
Ma come ogni cosa fragile, era anche bellissima. Quando le mattine di primavera usciva in giardino per vedere il sole sorgere dalle sue montagne, e il primo raggio della giornata la colpiva, si illuminava e diventava d’oro. Bellissima e fragile. Molti bambini sono arsi d’amore per lei, vedendola semplicemente una volta colpita dal sole e risplendere dei colori dell’arcobaleno.
Tutte la mattine usciva per ammirare il panorama dal suo giardino. Aveva una vista magnifica. Da una parte c’erano le montagne. Alte, immense, impenetrabili e misteriose. E dall’altra un fiume che si perdeva nell’orizzonte. Lo spettacolo era bellissimo. Ma spesso si chiedeva: “Chissà dove finisce quel fiume? E cosa ci sarà oltre quelle montagne?”. Se lo chiedeva spesso. E lo chiedeva anche a suo padre, così bravo a crearle realtà che lei non aveva mai visto.
Le raccontava di sconfinati campi di grano oltre quelle montagne, presidiate da immobili uomini vestiti di stracci e stranezza. Di vallate piene di papaveri, margherite, viole e rose canine.
E lei ogni volta chiudeva gli occhi e viaggiava per quei mondi fantastici. Correva scalza su quel tappeto di petali colorati, nuotava insieme ai pesci in quel fiume. Già…il fiume. Il fiume portava al mare.
“Cos’è il mare?” chiese una volta Iulaodema al padre.
Il mare è dove confluiscono tutte le acque del mondo. E non solo. È anche il luogo dei sogni non ancora sognati. È una distesa infinita d’acqua capace d’amore…capace di morte.
E la sua voce…ah...la voce del mare…una voce potente. È un urlo. Un urlo così forte che molti sono impazziti dopo averla sentita. Molti hanno preso una nave e sono partiti, forse alla ricerca di un qualcosa, di un sogno. Forse per continuare a sentire la sua voce. Dicono che il mare aperto contenga la verità.
E i gabbiani! Che bellissimi messaggeri, intermediari tra uomini e sogni. Vivono sulla spiaggia, dove prendono i sogni e li consegnano alle persone che hanno un cuore abbastanza pulito da contenerli senza che si sciupino. Vivono sulla spiaggia. E quando giunge l’ora di ritornare nel tutto che li ha generati, vanno nel mare aperto. Per conoscere la verità prima di morire.
Iulaodema era affascinata dal mare. Quanto avrebbe voluto sentire la sua voce! Ma lì, nella sua villa lontano da tutto era impossibile sentirla. Doveva seguire il fiume! Voleva sentire almeno una volta la voce del mare.
Sì. L’avrebbe fatto!
“Non si può! Il rumore delle onde del mare è troppo forte per le tue fragili orecchie! Rischieresti di rimanere sorda…o magari peggio! E poi i gabbiani…fanno un casino infernale!” le aveva risposto una volta la madre.
Sarebbe dovuta andare di nascosto. Ma questo avrebbe spezzato il cuore di cristallo dei suoi genitori…che fare allora? Rinunciare a sentire la voce del mare per non far morire i propri genitori, o partire, andare, fuggire per sentire almeno una volta la voce del mare?
Decise di andare di nascosto.

Se qualcuno quella mattina dall’alto della montagna avesse lanciato uno sguardo verso la riva del fiume, avrebbe visto un qualcosa rilucere e brillare più dell’oro. La voglia di sentire la voce del mare la faceva brillare in modo straordinario e mai visto. La terra calpestata dai suoi vitrei piedi si colorava di colori mai visti e mai capiti. Il fiume che le scorreva accanto, accompagnandola alla meta, era un flusso d’oro liquido. E sembrava che quel giorno fosse più silenzioso del solito. Scivolava sulle pietre senza produrre suoni apprezzabili, per non rovinare le orecchie di Iulaodema.
Fu così che arrivò in un punto in cui la terra si trasformò in sabbia, e il fiume in mare.
Il mare. I gabbiani. Finalmente li vedeva con i suoi occhi cristallini.
Ed era proprio come suo padre glieli aveva fatti immaginare.
Si bloccò allo spettacolo delle onde che si riversavano sulla spiaggia, per poi tornare indietro, e poi di nuovo sulla spiaggia, imperterrite nel loro tentativo di conquistare le terre.
E dei gabbiani, che a volo radente accarezzavano le acque per afferrare i sogni da donare alle persone.
E chiuse gli occhi.
E aprì le orecchie.
E ascoltò.
Ascoltò la voce del mare.
L’urlo del mare.
Le sue orecchie resistettero a lungo a quella voce. Era vero. Era molto forte la sua voce. Ma era anche dolce e leggera nella sua forza. Per questo resistette.
Ma in fondo il suo corpo era molto fragile.
Si sedette sulla sabbia.
E piano piano, a partire dai piedi, sorridendo, si sgretolò.
Il mare. Ora anche lei era diventata parte del mare.
Era diventata la spiaggia che permetteva ai gabbiani di far riposare le loro ali ferite dal vento.
E alle persone di inseguire i propri sogni.
Era diventata sabbia.

giovedì 19 giugno 2008

Maledetto sia Giambattista Vico! (ovvero: Per fortuna che Silvio c'è)

Corsi e ricorsi storici.
La storia si ripete, che sia a grandi passi o a brevi distanze.
Guardiamoci attorno e cosa vediamo? Un presidente del consiglio che si fa le leggi per se, per i propri amici e per la propria "famiglia".
Non ci ricorda proprio niente?
Le "gravi inimicizie" con i giudici non ci fanno tornare in mente nessun avvenimento accaduto nel precedente governo Berlsconi?
Il guaio è che noi fessi lo abbiamo rieletto...ha fatto ciò che ha voluto per 5 anni, senza una opposizione degna di questo nome. Ha fatto e disfatto leggi, ha creato e distrutto (ma più che altro distrutto) la poca legalità rimasta in Italia. Non serve che vi ricordi le infinite leggi ad personam che ha fatto...le sapete tutti...
Ed ora a 2 mesi dalla sua rielezione ha cominciato di nuovo. E noi che facciamo? Il cosiddetto governo ombra esce dall'aula, minaccia referendum abrogativi e manifestazioni nelle strade.
Ma non ci ricorda proprio niente?
Mah.
A me sembrano sempre le stesse mosse fatte anche anni fa, e che non sono servite assolutamente a nulla. Il bello (o il brutto) di questa storia è che c'è gente che ancora pende dalle sue labbra. E non parlo di membri del partito, di politici, onorevoli (poco onorevoli) e senatori...ma parlo della gente "comune". Della vecchia che incontri al supermercato, del giovane che prende l'autobus con te...gli credono cecamente.
Ma non hanno un minimo di raziocinio? La mamma non gli ha mai fatto un discorso sul distinguere il bene dal male? Sul cos'è giusto fare o non fare?
Ma si sa...l'Italia è fatta di gente sbagliata...ognuno cerca di fregare il proprio vicino appena ne ha l'occasione, e ci riscopriamo uniti ed italiani solo ai mondiali.
Per come la vedo io, noi siamo tutti mosche...bianche o nere non importa...siamo tutti mosche che ruotano attorno sempre allo stesso stronzo.
Sono anni che in Italia non cambia nulla. Sempre le stesse persone che comandano, sempre pronti ad augurare un Italia nuova e libera, e poi sempre ad agire per i propri personali interessi. E ce ne freghiamo dei conflitti.
Sempre le stesse facce in parlamento...niente e nessuno cambia...si può dire che l'ultimo cambiamento nella storia italiana (a parte il cambio di ct alla nazionale) è stato il referendum per la scelta tra repubblica e monarchia.
Anche se secondo me non è stato un vero e proprio atto convinto il votare per la repubblica. Più che altro è stato la semplice applicazione dell'italiano istinto...quello di votare contro. "La monarchia ha sbagliato...vabbè...voto repubblica, anche se non so cosa sia".
È per questo che Berlusconi è stato rieletto. Perchè "siccome Prodi ha fatto schifo, allora voto Berlusconi". Ma non ci ricordiamo mai che Berlusconi è più schifoso ancora.
Come si dice...lì in mezzo il più pulito c'ha la rogna!
E allora che fare? Lasciare che tutto vada come sta andando, senza preoccuparci, tanto ci penseranno le future generazioni a mettere tutto a posto? O cercare di dare un futuro migliore ai nostri pronipoti?
L'italica coscienza direbbe la seconda...ma gli italici fatti dimostrano che è vera la prima.
Concludo dicendo una delle battute più amare e vere di Groucho (presente se non ricordo male nel numero 260 di Dylan Dog): "Lo so che il problema del mondo è l'indifferenza, ma in fondo chi se ne frega!"

giovedì 12 giugno 2008

Filemazio


Quel giorno Filemazio era strano. Non pensava. Fissava un punto nel cielo. Un vortice di nuvole nella sua mente e nei suoi occhi. Il suo sguardo abbracciava tutta la volta, lo zenit e il nadir non avevano segreti per lui, li vedeva, lì, vicini…si toccavano quasi. Il cielo, un mare al contrario, solcato da navi al contrario con ali lucenti, vissuto da pesci senza branchie. Animali strani. Pensieri strani.
Strana persona che era Filemazio. Aveva una grande immaginazione. E una strana capacità…ciò che immaginava prendeva vita accanto a lui. Ombrelli che camminano portando in braccio brocche d’acqua canterina, rosse giraffe con proboscidi argentate per spegnere gli incendi. Non immaginava mai cose normali. Era proprio uno strano ragazzo. Non era mai solo, ma non era mai con nessuno.
Viveva con la sua Fantasia. Usciva con i suoi coetanei, ma non si divertiva…erano così strani quei bambini così semplici, così banali. Loro non avevano piume ocellate che gli uscivano dalle unghie per far il solletico a una farfalla contadina; non avevano membrane fluorescenti per attirare grilli leonini con gli occhiali da sole. Non sapevano far altro che dare calci ad una povera palla, che lui un giorno pensò ribellarsi, ed usare le sue macchie nere come frisbee assorbenti come buchi neri, porte di un’altra dimensione, in cui erano palle di ogni dimensione a cercare di far entrare i bambini in una rete. Vendetta contropassistica.
Faceva finta di niente quando era con loro. Frenava la sua Fantasia. E per farlo era obbligato a usare un particolare modello di occhiali che diffrangevano la luce capovolta. Quando li indossava era semplicemente Filemazio, il figlio del barbiere del paese. Che tormento quegli occhiali. Gli facevano vedere le cose in modo così strano. Le fontanelle erano solo fontanelle. Le automobili, solo un mezzo di locomozione. Che strazio. Era così bello il mondo senza quelle lenti concavesse. Le fontanelle erano donne gravide di sogni che spacciavano fluidi generatori di veloci e allegre sensazioni di volo; le auto erano mezzi di fragola, arancia, banana, mango e avocado (a seconda del colore) che emettevano suoni dolci e rincuoranti e uno strano profumo di pino e finestra, esseri fagocitatori di individui che hanno sempre fretta di arrivare.
Ma quel giorno Filemazio era strano. Era solo. Per la prima volta Fantasia non era venuta a trovarlo, e di dare calci a quel povero pallone proprio non ne aveva voglia. Per questo era sdraiato sull’erba. Guardando il cielo, senza i suoi occhiali. Non facendo niente. Pensieri attraversavano la sua mente, ma non si fermavano. Erano rapide metropolitane di fumo che andavano e venivano. Nient’altro. Per la prima volta si sentiva strano. Guardava il cielo, il nadir, le navi al contrario. E basta. Non voleva nemmeno sforzarsi a fermare la metropolitana. Non ne aveva nemmeno voglia.
Per questo era teso tra un mare solleticante di fili verdi e un mare colorato di bianco ed azzurro.
Niente distoglieva il suo sguardo da quel punto perduto in uno spazio vasto e lontano. Era impassibile, e se qualcuno dei suoi coetanei lo avesse visto, avrebbe sicuramente detto che sorrideva come un beota. Ma non era un sorriso beota. Era una sensazione che gli voltava e rivoltava il pancreas, una sensazione piacevole e infelice, scottante e fredda. Era un qualcosa che non si spiegava. Per la prima volta capì che non stava semplicemente guardando il cielo, il nadir e le navi al contrario. Per la prima volta capì che stava capendo l’infinito. L’infinito del cielo nella sua mente e nei suoi occhi. Capì…

Oggi Filemazio è guarito. Usa sempre quegli orrendi occhiali che gli permettevano di essere normale. Non ha più quelle strane visioni. Ha una moglie che lo tradisce, e lui tradisce la moglie. È un pezzo grosso di una multinazionale nel campo dell’elettronica. Ha due figli che lo amano e che lui ama. Una volta l’anno devolve un consistente assegno in beneficenza.
Ma ogni tanto lo si vede andare in montagna, senza il suo paio di occhiali. Tutti si chiedono perché ci vada, e come mai quando torna ha sulla sua faccia quello strano sorriso beota.

domenica 8 giugno 2008

Sharin' music/spirit with you vol V : Canzone della bambina portoghese

Rieccomi con uno Sharing music...voglio condividere con te, o solo lettore, una canzone che mi ha sempre fatto riflettere...che ho sempre adorato...anche se sarebbe meglio dire che sono 2 canzoni in una, sottolineato dal cambio di tempo e ritmo, di melodia e armonia...
In più mi sono trovato in una situazione simile a quella della bambina...in Sicilia...nella punta più a Sud dell'isola, lì dove Ionio e Tirreno si incontrano...spettacolo da rimanere senza parole...davanti a te solo acqua...ma da una parte burrascosa, dall'altra calma piatta...infatti (da come mi spiegarono gli autoctoni nella loro strana lingua) quando un mare è calmo, l'altro è incazzato nero...
Beh...a questo punto ti lascio alle parole di Guccini.
Buona lettura e
a presto.


E poi e poi, gente viene qui e ti dice di sapere già ogni legge delle cose.
E tutti, sai, vantano un orgoglio cieco di verità fatte di formule vuote...
E tutti, sai, ti san dire come fare,
quali leggi rispettare, quali regole osservare, qual'è il vero vero...
E poi, e poi, tutti chiusi in tante celle fanno a chi parla più forte
per non dir che stelle e morte fan paura...

Al caldo del sole, al mare scendeva la bambina portoghese,
non c'eran parole, rumori soltanto come voci sorprese,
il mare soltanto e il suo primo bikini amaranto,
le cose più belle e la gioia del caldo alla pelle...

Gli amici vicino sembravan sommersi dalla voce del mare...
O sogni o visioni, qualcosa la prese e si mise a pensare,
sentì che era un punto al limite di un continente,
sentì che era un niente, l'Atlantico immenso di fronte...

E in questo sentiva qualcosa di grande
che non riusciva a capire, che non poteva intuire,

che avrebbe spiegato, se avesse capito lei, quell' oceano infinito...
Ma il caldo l'avvolse, si sentì svanire e si mise a dormire
e fu solo del sole, come di mani future;
restaron soltanto il mare e un bikini amaranto...

E poi e poi, se ti scopri a ricordare, ti accorgerai che non te ne importa niente
e capirai che una sera o una stagione son come lampi, luci accese e dopo spente
e capirai che la vera ambiguità
è la vita che viviamo, il qualcosa che chiamiamo esser uomini...

E poi, e poi, che quel vizio che ti ucciderà non sarà fumare o bere,
ma il qualcosa che ti porti dentro,
cioè vivere, vivere e poi, poi vivere
e poi, poi vivere...



giovedì 5 giugno 2008

Foto (ovvero: discorso tra un uomo e se stesso)


Capita alle volte di ritrovare una foto in un cassetto…impolverata. Ritrae te, qualche anno fa, con i capelli ancora lunghi, con meno rughe. Ma soprattutto con lo sguardo e il sorriso felice. È questo quello che ti colpisce di più. Ora sei sereno, stai bene, non chiedi niente di meglio…e allora perché quel fugace sguardo a quella foto ti fa sentire così strano? Perché hai avuto un sussulto, un mancar di fiato? Forse ti mancano quei tempi. Forse. O forse ti accorgi che ai tempi di quella foto avevi molte cose in meno...ma una in più…una fondamentale.
Si vedono proprio i tuoi occhi di ieri che ridono, anche se lievemente nascosti dalla tua mano, e senti che i tuoi occhi di oggi non sono così. Li senti umidi…ti fanno quasi male perché non vuoi far uscire quei mischiumi di sali minerali e acqua che sono le lacrime. Le senti una ad una che cercano di sfuggirti…di raggiungere l’aria aperta.
E quel sorriso…da quanto tempo non ti sorprendi a sorridere in quel modo? Forse non è passato tanto tempo dall’ultima volta che hai fatto un sorriso del genere, ma quante volte te ne sei sorpreso? Quante volte hai pensato “sono proprio fortunato”…è passato tanto tempo? Giorni, mesi, anni? Mah…non sai nemmeno più quantificare il tempo passato, tanto sembra lontana dal presente quella antica foto. Ritrae tempi andati, che non torneranno tanto presto…forse mai più…ma ne hai altri altrettanto e forse più belli davanti…ora non li puoi scorgere…se potessi vedere il futuro certamente non avresti sprecato il tuo tempo in inutili giri di parole a vuoto…avresti colto l’attimo, sicuro della riuscita…o ti saresti nascosto dietro un angolo, sicuro della disfatta…
Meno male che non sai vedere nel futuro…avresti sprecato tante esperienze…tanti successi maggiormente goduti grazie alla loro incerta riuscita non li avresti assaporati appieno…tanti insuccessi dalle mani bianche, fredde, tremule e sudate non ti avrebbero fatto crescere...
Non saresti tu…saresti una persona con meno esperienze alle spalle, forse con meno figure di merda nel proprio passato…ma sicuramente meno felice…
Dai un altro sguardo a quella foto sbiadita…”sono meno felice di allora?” ti domandi…e la tua risposta è “No…certamente!!!” Sei felice anche adesso…di una serena felicità che ti è data dall’esperienza, dall’esistenza che hai vissuto e che vivi…da quel che sei e da quel che eri…felice, in modo diverso.
È vero…i tuoi occhi non ridono più come allora, ma lo fanno in modo diverso, ugualmente intenso…e senti chiaramente una goccia che ti solca la guancia…adesso le lasci scorrere…sei sereno…sei felice…felice del tuo essere e del tuo aver superato questo momentaneo scostamento del cuore.
Ultimo sguardo alla foto…che si disintegra in polvere tra le tue mani segnate dalla vita e dall’età.
E sorridi…sorridi felice…e ti lasci cadere sulla sedia di paglia dietro di te e chiudi gli occhi…non senti più niente…e ti addormenti…ti addormenti…ti addormenti.